Ceccarelli (Coina): Disparità inaccettabili negli stipendi degli infermieri e altri professionisti sanitari

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Le recenti indagini di Fondazione Etica hanno messo in evidenza una realtà che Coina, il sindacato delle professioni sanitarie, denuncia da tempo: le disparità retributive tra infermieri e infermiere italiane, nonché tra le varie categorie delle professioni sanitarie, sono enormi e, ancor più preoccupante, in fase di crescente disuguaglianza.
Si tratta di differenze che non toccano solo i salari, ma l’intero impianto del sistema sanitario, con pesanti ricadute sulla qualità dei servizi erogati.

Come nascono queste disparità?
Le retribuzioni si compongono di diverse voci. La retribuzione base è definita a livello nazionale dal CCNL (attualmente in fase di rinnovo), ma altre componenti, in particolare quelle derivanti dalla contrattazione integrativa, variano sensibilmente. Le Regioni, con la loro autonomia finanziaria e amministrativa, decidono come allocare le risorse. Poiché le ASL sono gestite a livello regionale, queste discrepanze si sono acuite nel tempo.

Il caso emblematico delle disuguaglianze tra Regioni
In testa alla classifica degli stipendi più alti si trovano le ASL di Bolzano (circa 53 mila euro lordi annui), seguite da Napoli 2 Nord e Napoli 1 Centro, dove le retribuzioni sfiorano i 40 mila euro lordi annui. All’opposto, realtà come Bologna, Reggio Calabria, Foggia e Catanzaro risultano sotto la media nazionale, che si attesta attorno ai 35 mila euro.

Questo divario salariale solleva interrogativi urgenti. Come può un professionista sanitario, che lavora instancabilmente per la salute dei cittadini, sostenersi con un compenso così basso in territori dove il costo della vita è particolarmente elevato?

Marco Ceccarelli, segretario nazionale del Coina, commenta: “È assurdo che nel 2025 in Italia ci siano infermieri e professionisti sanitari che ricevono stipendi da fame, mentre in altre regioni – come la Valle d’Aosta, secondo quanto riportato dall’indagine di Fondazione Etica, dati che stiamo comunque approfondendo – ci siano retribuzioni che superano abbondantemente la media nazionale. Ma non si tratta solo di numeri. Il vero paradosso è che, pur guadagnando di più, in molte realtà del Sud la qualità dell’assistenza sanitaria non corrisponde agli stipendi più elevati. Le difficoltà organizzative e la gestione inefficiente delle risorse sono all’origine di un sistema che non riesce a rispondere adeguatamente alle necessità della popolazione.”

Il paradosso del Sud: stipendi più alti, ma qualità dei servizi più bassa
Mentre le retribuzioni in alcune regioni meridionali sembrano essere superiori alla media nazionale, la qualità dei servizi sanitari non segue lo stesso andamento. Le criticità organizzative, la carenza di personale, la gestione inefficace delle risorse e una struttura sanitaria in sofferenza non sono risolte da semplici aumenti salariali. Laddove le condizioni di lavoro dovrebbero migliorare, ci sono zone del Paese in cui, nonostante stipendi più alti, la qualità dei servizi resta indietro, dando vita a un vero e proprio paradosso.

Il sistema sanitario italiano a rischio: una sanità frammentata e squilibrata
Coina sottolinea come queste disparità derivino principalmente dall’autonomia gestionale delle ASL, che ha reso il Servizio Sanitario Nazionale frammentato in venti sistemi diversi, ognuno con politiche proprie e con una distribuzione disomogenea delle risorse economiche. Il risultato è un SSN oggi più che mai in corto circuito, dove non solo gli stipendi variano drasticamente, ma anche la qualità dell’assistenza sanitaria che i cittadini ricevono è profondamente diseguale.

“L’autonomia è importante, ma serve una regolamentazione più uniforme a livello nazionale, con una distribuzione più equa delle risorse. Non possiamo avere venti regioni e venti sanità differenti, con effetti devastanti su chi lavora e su chi ha bisogno di cure. La sanità è un diritto fondamentale e deve essere garantita a tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione in cui risiedono. Cosa ne sarà di aziende sanitarie come quella di Bologna, dove gli stipendi, seppur appena sotto la media, non reggono il passo con l’alto costo della vita? Le vedremo svuotarsi?” aggiunge Ceccarelli.

Sempre meno infermieri e ostetriche, sempre meno professionisti dell’area non medica
Oltre alle disuguaglianze retributive, un’altra emergenza attraversa tutte le regioni: la crescente carenza di infermieri, ostetriche e professionisti sanitari dell’area non medica. A prescindere dalle differenze di stipendio, ciò che manca da tempo è una reale valorizzazione delle professioni. I professionisti sanitari si sentono troppo spesso invisibili, drammaticamente sovraccaricati e sottostimati, e questo scoraggia le nuove generazioni dal considerare una carriera in ambito sanitario.

Emblematico il caso dell’AUSL di Bologna, dove recenti dati indicano che il numero di candidati ai concorsi pubblici si è ridotto a un decimo rispetto a dieci anni fa. Una vera e propria fuga dalla professione, che dimostra come il disagio sia ormai strutturale e non legato soltanto alle retribuzioni. Anche il rinnovo del contratto nazionale, attualmente in discussione, rischia di rivelarsi una toppa se non accompagnato da cambiamenti profondi: non solo aumenti economici, ma una nuova dignità e centralità per chi, ogni giorno, è in prima linea nella cura delle persone.

La soluzione: maggiore equità e centralizzazione delle risorse
Il Coina chiede una revisione del sistema di distribuzione delle risorse sanitarie e la definizione di un contratto nazionale solido, che tenga conto delle specificità locali ma che garantisca equità per tutti i professionisti della sanità, da Bolzano a Padova, da Napoli a Palermo. Non si tratta solo di stipendi, ma di garantire una sanità funzionale e di qualità per l’intera popolazione.

“Il nostro obiettivo è che ogni infermiere, ogni professionista sanitario, riceva un giusto compenso per il lavoro che svolge, in tutte le regioni d’Italia. La professione sanitaria è la spina dorsale del nostro sistema e non possiamo permetterci di lasciare indietro nessuno. È ora di agire per una sanità più giusta, equa e che metta al centro il benessere di chi lavora e di chi ha bisogno di cure”, conclude Ceccarelli.

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