«Non esiste alcun tema divisivo, ma solo la volontà comune di offrire ai pazienti le migliori cure, nel rispetto dell’appropriatezza e dell’ottimizzazione delle risorse disponibili. Non abbiamo mai pensato a screening di massa, che oltretutto sappiamo non sono validati scientificamente, ma a un miglioramento della valutazione durante la visita del medico di famiglia, qualora emergesse un nevo o una lesione sospetta. La proposta nasce sulle orme di un progetto ideato nel 2020 dalla compianta professoressa Gabriella Fabbrocini (Federico II di Napoli), rimasta per molti un costante punto di riferimento. Partecipammo con entusiasmo alla formazione, come FIMMG Napoli, e già allora lo studio dimostrò la bontà dell’idea di creare questa connessione tra territorio e secondo livello specialistico. Oggi, con telemedicina e intelligenza artificiale, i benefici sono ancora più evidenti».
Così Silvestro Scotti, segretario generale della FIMMG, risponde ai dubbi sollevati dal presidente ADOI (Associazione Dermatologi-Venereologi Ospedalieri Italiani e della Sanità Pubblica), Davide Melandri, e dall’AIDA (Associazione Italiana Dermatologi Ambulatoriali). Un tema che non riguarda solo i dermatologi, bensì la volontà di dotare di strumenti diagnostici i medici di famiglia, così da poter effettuare – in stretta collaborazione con i vari specialisti di area – una prima valutazione dei casi sospetti e, se necessario, indirizzare i pazienti a una visita di secondo livello. Sistema imprescindibile per una medicina di famiglia evoluta.
«Siamo stanchi di essere etichettati come i responsabili di liste d’attesa per l’inappropriatezza delle richieste di esami e visite specialistiche o del fatto che il territorio non faccia filtro sull’accesso ai codici minori in Pronto Soccorso», aggiunge Scotti. «Per tutta risposta, quando chiediamo gli strumenti che aumentino la nostra capacità di assistenza, ecco che gli stessi che ci accusano scendono in campo per impedire quest’evoluzione. Oggi serve altro. Serve, grazie innanzitutto a una primaria semplificazione burocratica della medicina generale che liberi tempo di cura, che i medici di famiglia possano intensificare il I Livello di cura integrandosi agli specialisti del territorio e presenti negli ospedali, per provare a risolvere l’annoso problema degli accessi impropri in Pronto Soccorso che, lo sanno tutti, sono usati per aggirare le liste d’attesa».
Il leader FIMMG sottolinea poi che, se si vuole procedere con un richiamo ai compiti di ciascuno, «i medici di famiglia si aspettano che tutti facciano la propria parte, a partire dalla ricettazione e dalle certificazioni telematiche, che – evidenzia Scotti – sono compito per legge del medico che per primo descrive la diagnosi, sia esso un medico di famiglia, sia esso uno specialista».
Dalla FIMMG arriva poi il pieno accordo sull’esigenza di una formazione per l’uso delle strumentazioni diagnostiche. Tuttavia, «appare alquanto strumentale che questo punto sia messo ogni volta in evidenza. Sempre, ma non durante il Covid, quando giovani medici e medici di medicina generale partecipanti alle USCA, con un corso di pochi giorni, venivano messi in condizioni, a domicilio con ecografi portatili, di verificare in un paziente positivo la presenza di una polmonite per evitarne il ricovero se negativi».
Per il segretario generale FIMMG, si sta dimenticando che, purtroppo, per carenze vocazionali e per uno scarso investimento nel rendere attrattivo il ruolo dei medici di Emergenza-urgenza dei Pronto Soccorsi, si utilizzano spesso giovani, a volte neolaureati, che dimostrano ogni giorno la loro capacità di diagnosi e cura anche utilizzando o valutando i risultati di strumentazioni diagnostiche, per decidere se ricoverare o rimandare alla presa in carico territoriale il paziente. «Esperienza che dimostra che la formazione sul campo è un valore dell’arte medica», dice Scotti.
Quanto al dotare i medici di famiglia di dermatoscopi, la proposta di FIMMG è ben chiarita dallo studio realizzato dalla medicina generale in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli. Studio che sottolinea come «la teledermatologia presenta un ampio ventaglio di vantaggi. Innanzitutto, supporta la prevenzione, incoraggiando l’auto-esame cutaneo da parte dei pazienti. Inoltre, offre la possibilità di un’interfaccia rapida con i dermatologi per lesioni potenzialmente maligne, anche a grandi distanze. Permette inoltre di razionalizzare l’accesso a strutture altamente specializzate, assegnando alle lesioni un triage mirato e alleggerendo così le liste d’attesa».
«Non saprei immaginare un esempio migliore di integrazione tra territorio e specialisti – aggiunge Scotti – e credo che, invece di polemizzare, dovremmo sederci a un tavolo con le associazioni di specialisti per creare dei modelli di integrazione che garantiscano il ruolo e i compiti di tutti. Questo, sempre, nell’interesse della cura migliore per il cittadino. Va ricordato che la diagnostica nei nostri studi è stata prevista e finanziata nel 2020 nella Legge di Bilancio con 235 milioni di euro. Soldi che sono stati ripartiti tra le Regioni e che sono ancora in attesa di essere utilizzati», conclude Scotti.
Di seguito il link per la consultazione dello studio realizzato dalla Sezione di Dermatologia – Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Federico II, la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, l’Unità di Statistica Medica, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, e il Dipartimento di Ingegneria Industriale – Università degli Studi di Salerno.