Troppo spesso nell’anziano ansia, depressione, problemi di memoria e solitudine vengono considerati inevitabili con l’età. Come se “tanto a una certa età non ci si può far più nulla”. Un approccio che rischia di diventare una profezia che si autoavvera, perché porta a trascurare cure, diagnosi e percorsi di supporto che invece fanno davvero la differenza.
Contro questo atteggiamento, che si può definire “geriatro-pessimismo”, si è concentrato, sabato 17 maggio, all’Hostellerie du Cheval Blanc di Aosta, il congresso interregionale della Società di Psicogeriatria – Sezioni Piemonte e Valle d’Aosta. Un appuntamento importante per medici, psicologi, infermieri e altri professionisti che lavorano ogni giorno al fianco delle persone anziane.
Oltre 70 i partecipanti, tra cui i Direttori della Geriatria e della Neurologia dell’Ospedale regionale di Aosta, il Dott. Franz De la Pierre e il Dott. Guido Giardini, presenti insieme ai loro team.
Il cuore del congresso è stato un messaggio forte: l’invecchiamento non è una condanna. Anche con un corpo che cambia e rallenta, è possibile conservare autonomia, qualità della vita e benessere mentale. Ma serve cambiare sguardo.
“Il congresso ha messo in evidenza come la nostra Azienda sia ben inserita nella rete di coloro che propongono soluzioni per un invecchiamento in salute e per il contrasto alla perdita dell’autonomia della persona – spiega il Dott. De La Pierre -. Lavoriamo per conservare il benessere dell’anziano che, in un corpo che invecchia, può invece mantenere autonomie impensabili. L’ansia, la fragilità, i problemi di memoria, la solitudine incidono come e di più rispetto alla pressione alta e al diabete. Ma sono comunemente pensati come inevitabili, come se oltre ad una certa età il prendersi cura, le diagnosi e la presa in carico non abbiano poi quella grande incidenza. Questo paradigma è da sradicare”.
Le équipe multidisciplinari delle strutture complesse di Geriatria e Neurologia “stanno collaborando in modo sinergico per potenziare e rendere più efficiente il percorso diagnostico dei pazienti che presentano disturbi della memoria – spiega il Dott. Giardini -. L’obiettivo principale di questa cooperazione è quello di intercettare precocemente i segni iniziali di deterioramento cognitivo, attraverso strumenti clinici avanzati e protocolli condivisi, così da poter avviare tempestivamente le terapie più innovative oggi disponibili. Questo approccio integrato consente non solo di migliorare la qualità dell’assistenza, ma anche di offrire ai pazienti maggiori possibilità di mantenere la propria autonomia e qualità di vita nel tempo”.
Durante il congresso sono stati presentati esempi concreti di una medicina nuova, più attenta e umana, in grado di restituire dignità e valore alla terza età. Luci e ombre sui nuovi farmaci in arrivo che, a fronte dei costi proibitivi, sembrano vantaggiosi però devono ancora dimostrare la loro efficacia. Tra le buone notizie ci sono poi i modelli già attivi in Italia che stanno ottenendo risultati incoraggianti, dimostrando che prendersi cura dell’anziano vuol dire anche combattere i pregiudizi. Disturbi comuni come l’insonnia, la depressione o la perdita di memoria possono essere affrontati e gestiti. E la tecnologia – come l’intelligenza artificiale e i software di supporto – può diventare una grande alleata.
Tra gli interventi più apprezzati, anche quello del Prof. Giovanni Maria Trabucchi, Presidente Onorario dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, che ha ribadito un concetto chiave: la medicina non può ridursi solo a prescrivere farmaci o seguire algoritmi. Deve tornare a essere un atto profondo, umano, capace di ascoltare e rispondere davvero ai bisogni della persona.
Il congresso si è chiuso con un messaggio chiaro e positivo: la terza età non è il tempo della resa, ma un periodo della vita che merita attenzione, strumenti adeguati e rispetto. E chi lavora in questo campo – pubblico o privato che sia – ha un ruolo fondamentale nel renderlo possibile.