OSPFE-AUSLFE. NUOVA TECNICA CHIRURGICA NEL TRATTAMENTO SINDROME POST TROMBOTICA

Condividi:

La procedura, ideata dal prof. Paolo Zamboni in collaborazione con il prof. Roberto Galeotti, pubblicata su una prestigiosa rivista scientifica

Una svolta significativa nel trattamento della sindrome post-trombotica arriva dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara grazie allo studio di una tecnica innovativa messa a punto dal professor Paolo ZamboniDirettore del Programma Malattie Vascolari. La metodica, presentata nei giorni scorsi su una prestigiosa rivista scientifica, non è al momento ancora una pratica clinica consolidata.

La sindrome post-trombotica, una condizione debilitante che insorge anni dopo una trombosi venosa profonda, colpisce un’alta percentuale di pazienti, compromettendo significativamente la qualità della vita con dolore, gonfiore, pesantezza, cambiamenti di colore della gamba e ulcere ricorrenti.

Come spiega il prof. Zamboni, “la sindrome post trombotica è una malattia che insorge diversi anni dopo che si è avuto la sfortuna di avere una trombosi venosa profonda, cioè un trombo che ha colpito le vene profonde delle gambe. È una condizione molto pericolosa perché nella fase acuta può dare anche adito ad una embolia mortale. Nella metà dei casi questo trombo può, nei mesi successivi, distruggere le valvole delle vene e quindi ostacolare il percorso del sangue. Si tratta di una patologia lenta ma inesorabilmente progressiva”.

Le terapie tradizionali per la sindrome post-trombotica sono tuttora poco soddisfacenti. La terapia maggiormente utilizzata è luso quotidiano di una calza elastica.  Diversi approcci chirurgici tentati nel tempo si sono dimostrati fallimentari, per cui le sfide nella gestione di questa condizione persistono anche oggi”.

Tuttavia, circa un decennio fa, il professor Zamboni ha osservato un fenomeno che ha aperto nuove prospettive. “Ci siamo resi conto – spiega Zamboni – di una peculiarità anatomica. In un significativo numero di pazienti, stimabile tra il 20 e il 25%: la presenza di una doppia vena femorale. Ciò che abbiamo osservato è che, in caso di trombosi, generalmente solo una delle due veniva colpita. Questa “ruota di scorta”, come l’abbiamo definita, è stata pensata per essere messa a completo servizio di un circolo da rimodellare. Partendo da questa osservazione, il professor Zamboni, in stretta collaborazione con il prof. Roberto Galeotti, Direttore della Radiologia Vascolare ed Interventistica del S. Anna, ha sviluppato una tecnica endovascolare mini-invasiva rivoluzionaria.

La nuova tecnica per il trattamento delle vene malate rappresenta un approccio innovativo rispetto ai metodi tradizionali. Consiste nell’escludere dal circolo la vena malata precedentemente colpita da trombosi, convogliando il sangue nella vena parallela ben funzionante. Per farlo i ricercatori hanno pensato di intervenire per via endovascolare. Questo significa che la procedura viene eseguita dall’interno del vaso sanguigno senza tagli o necessità di anestesia spinale o generale.

L’innovazione è rappresentata dall’intervenire nel punto di congiunzione tra la vena malata e la vena sana. La vena malata, al di sotto di questa congiunzione, viene esclusa dal circolo sanguigno, cioè chiusa. Questo blocco del flusso nella vena danneggiata ha un effetto immediato sulla direzione del flusso sanguigno: invece di continuare a fluire verso i piedi, attraverso la vena malata, il flusso del sangue, per motivi di fisica idraulica, si direziona verso il cuore attraverso la vena sana “consorella”.

Il Prof. Zamboni, sottolineando la meticolosità del processo, ha spiegato di aver atteso un periodo di osservazione sufficientemente lungo prima di divulgare i risultati. Solo dopo aver ottenuto un solido follow-up, il team ha deciso di descrivere la nuova tecnica chirurgica in un articolo inviato al Journal of Endovascular Therapy, una prestigiosa rivista specializzata in procedure mininvasive endovascolari. Il professore ha evidenziato come l’innovazione presentata colmi una lacuna in questo ambito clinico. La ristrettezza di soluzioni alternative rende la ricerca ancora più rilevante.

Con una nota di particolare emozione, Zamboni ha voluto dedicare questo successo al collega Galeotti, in procinto di ritirarsi dalle attività ospedaliere. “Per me è stata una gioia enorme festeggiare con questo articolo la sua meritata quiescenza, un’ultima tecnica innovativa da aggiungere alla brillante attività clinica e di ricerca che ha svolto per la città e per la nostra azienda negli ultimi 40 anni”.

Notiziario

Archivio Notizie