CECCARELLI (COINA): “INFERMIERI DALL’UZBEKISTAN IN LOMBARDIA, PARADOSSO DI UNA REGIONE IN AFFANNO”

“Diecimila infermieri mancanti nel territorio, 200 in arrivo dall’estero. Il conto lo pagheranno pazienti e colleghi”

ROMA, 19 DICEMBRE 2025 – L’annuncio dell’arrivo di circa 200 infermieri dall’Uzbekistan sembra cosa fatta. Sono destinati a ospedali e RSA lombarde: la notizia riaccende il dibattito sulla gestione della carenza di personale nella sanità italiana, in particolare in una Regione che registra oltre 10mila infermieri mancanti, il dato più alto a livello nazionale.

Il peso reale sulle corsie e sull’emergenza

A nome del COINA – Sindacato delle Professioni Sanitarie, interviene il Segretario Nazionale Marco Ceccarelli, che pone una domanda preliminare: “Che peso reale avranno questi infermieri sull’economia sanitaria lombarda e, soprattutto, sulle spalle di chi oggi tiene in piedi, con enorme difficoltà, le corsie e in particolare pronto soccorso e reparti emergenziali?”.

Una strategia che sposta il problema

“La Lombardia – afferma Ceccarelli – rappresenta oggi il laboratorio estremo di una politica sanitaria che da anni non risolve, ma sposta drammaticamente il problema. Dopo il reclutamento dal Sud America, oggi si guarda addirittura a Samarcanda. L’assessore al Welfare Guido Bertolaso sembra un “moderno Marco Polo” della sanità, sempre in viaggio alla ricerca di personale, mentre il sistema continua a perdere pezzi”.

Reclutamento estero e carenze strutturali

Secondo COINA, il nodo non è l’origine degli infermieri, nessuno, tanto meno il COINA ce l’ha per partito preso con i colleghi stranieri, ma il nodo è l’illusione che il reclutamento internazionale possa supplire al fallimento delle politiche di valorizzazione interne. “Parliamo di 200 professionisti – prosegue Ceccarelli – alcuni dei quali avrebbero già avviato poche settimane di formazione e lavoreranno affiancati da tutor. Ma in una corsia o in una RSA, quanto peseranno davvero? E soprattutto: quanto lavoro aggiuntivo graverà sui colleghi italiani, chiamati a seguirli, coordinarli e rispondere in prima persona di eventuali errori?”.

Lingua, adattamento e sicurezza delle cure

Le riflessioni del sindacato sollevano anche il tema, tutt’altro che secondario, della comunicazione e dell’adattamento clinico e culturale. “La lingua – sottolinea Ceccarelli – non è un dettaglio. È uno strumento di cura. Come si garantisce una relazione efficace con pazienti fragili, anziani, cronici, spesso confusi o non autosufficienti? E come si assicura una comunicazione fluida con medici e infermieri nei contesti ad alta complessità assistenziale?”.

Le esperienze che avrebbero dovuto insegnare

COINA richiama inoltre episodi recenti emersi nel dibattito pubblico, che avrebbero dovuto rappresentare un campanello d’allarme. “Alcune recenti fallimentari esperienze lombarde, come quella del San Raffaele, affidato a cooperative esterne, non hanno insegnato nulla? – si chiede Ceccarelli – Possibile che si continui a intervenire sull’emergenza senza interrogarsi sugli effetti collaterali organizzativi e professionali?”.

Il cambio di rotta che interroga le scelte politiche

Nel dibattito pubblico degli ultimi anni, l’assessore al Welfare Guido Bertolaso aveva più volte spiegato, anche in sedi televisive e comunicati ufficiali, che il reclutamento di infermieri dal Sud America rispondeva a una valutazione precisa: una maggiore affinità culturale, una più rapida acquisizione della lingua italiana e una facilitazione nell’adattamento alle complessità del sistema sanitario nazionale, soprattutto nel rapporto diretto con i pazienti. Oggi, di fronte all’ipotesi di ricorrere a personale proveniente dall’Asia, quella linea sembra improvvisamente cambiare. Una scelta che solleva interrogativi evidenti: cosa è mutato nel frattempo? E soprattutto, come si intende affrontare il tema della comunicazione clinica, dell’integrazione professionale e dell’impatto organizzativo nei reparti, se fino a ieri questi elementi venivano indicati come decisivi? Il rischio è che anche questa svolta finisca per accentuare il senso di improvvisazione, più che offrire risposte strutturali a una carenza che resta irrisolta.

Il nodo irrisolto della valorizzazione

“E gli infermieri che già lavorano nelle corsie lombarde con 1.500 euro netti al mese, carichi assistenziali sempre più pesanti e responsabilità continue? Dov’è il coraggio di investire davvero su chi c’è già, su professionisti che da anni attendono una valorizzazione economica e contrattuale concreta, oggi sempre più lontana? Finché questa domanda resterà senza risposta, ogni reclutamento dall’estero rischia di essere solo una scorciatoia che rinvia il problema.”

Un cortocircuito politico e strutturale

Per il sindacato, siamo di fronte a un vero cortocircuito politico e strutturale. “La Regione più ricca d’Italia – conclude Ceccarelli – non riesce a trattenere gli infermieri formati nelle proprie università, ma va a cercarli a migliaia di chilometri di distanza. È il paradosso di un sistema che non investe su stipendi, carriere, sicurezza e condizioni di lavoro, e poi si stupisce se le corsie restano scoperte”.

Una toppa su una falla enorme

“Il rischio – conclude Ceccarelli – è che questi 200 infermieri diventino l’ennesima toppa su una falla enorme. E a pagare il prezzo saranno i pazienti e i professionisti che già oggi lavorano oltre il limite”.

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