REGIONI SEMPRE A VELOCITÀ DIVERSE. UNA DISOMOGENEITA’ CHE SE DIVENTASSE SISTEMICA CI PORTEREBBE IN UN TUNNEL SENZA USCITA
ROMA 13 DICEMBRE 2025 – La sentenza del TAR Lazio sul nomenclatore tariffario 2024 ha indicato con chiarezza un punto fermo: l’impianto tariffario non era fondato su basi tecniche adeguate e andava annullato. Da quel momento, la strada era una sola: fermarsi, rifare i conti, ricostruire il metodo e presentare un nuovo nomenclatore capace di garantire equità e sostenibilità.
Questo non è avvenuto. Dopo la pronuncia del TAR, il Ministero della Salute non ha avviato, almeno finora, una vera revisione del sistema tariffario, lasciando irrisolti i nodi strutturali che avevano portato all’annullamento. Il risultato è che le tariffe continuano a essere, in molti casi, al ribasso e non omogenee, con effetti diretti sull’organizzazione dei servizi sanitari.
TARIFFE SOTTO COSTO: IL PROBLEMA RESTA
In numerosi ambiti ambulatoriali e diagnostici, le tariffe riconosciute risultano inferiori ai costi reali di produzione delle prestazioni. Le stime indicano scostamenti medi intorno al 20–30%, con punte ancora più elevate su specifiche prestazioni. Questo significa che molte strutture erogano servizi essenziali lavorando in perdita, una condizione che non può reggere nel tempo.
«La sentenza del TAR chiedeva una correzione di rotta», afferma Karin Saccomanno, Presidente AISI.
«In assenza di un nuovo impianto tariffario, si continua a operare su basi sbagliate, con tariffe che non riflettono i costi reali e che mettono a rischio la sostenibilità dell’offerta sanitaria».
REGIONI A VELOCITÀ DIVERSE. UNA DISOMOGENEITA’ CHE SE DIVENTASSE SISTEMICA CI PORTEREBBE IN UN TUNNEL SENZA USCITA
L’inerzia successiva alla sentenza ha accentuato le disuguaglianze territoriali. Alcune Regioni hanno tentato di intervenire autonomamente, adeguando o integrando i tariffari per evitare la sospensione dei servizi. Altre, soprattutto nel Mezzogiorno, non dispongono delle risorse necessarie per farlo e restano vincolate a tariffe sottostimate.
Ne deriva un sistema sanitario sempre più frammentato: al Sud si riduce l’offerta e cresce la mobilità sanitaria; al Nord aumenta la pressione sulle strutture e sui bilanci regionali, con effetti a catena su tempi di attesa e capacità di presa in carico.
«Senza un intervento nazionale, le Regioni vengono lasciate sole», osserva Giovanni Onesti, Direttore Generale AISI.
«Chi può integrare le tariffe regge, chi non può è costretto a ridurre i servizi. Questo non è governo del sistema, è scaricare il problema sui territori».
LE CONSEGUENZE PER I CITTADINI
Le tariffe al ribasso e non omogenee producono effetti immediati: riduzione delle prestazioni in convenzione, allungamento delle liste d’attesa e aumento della spesa sanitaria a carico delle famiglie. Il cittadino paga due volte: con tempi più lunghi e con costi più alti.
«Il TAR ha indicato l’errore, ma senza una risposta politica quell’errore continua a produrre danni», sottolinea Fabio Vivaldi, Segretario Generale AISI.
«Il rischio concreto è un Servizio sanitario nazionale a più velocità, dove l’accesso alle cure dipende dal territorio e non dal bisogno».
RIFLESSIONI DOVEROSE
Per AISI, la questione non è più giuridica ma politica. La sentenza del TAR Lazio imponeva una revisione profonda del nomenclatore tariffario. Non intervenire significa accettare tariffe inique, disuguaglianze territoriali crescenti e una progressiva riduzione dell’offerta sanitaria. Rimettere ordine dopo la sentenza era un dovere. Rinviare ancora significa aggravare il problema.