L’ossessione patologica per il mangiare “puro” colpisce in Italia 400mila persone. Con prevalenza maschile. Giovani adulti e adolescenti le fasce più esposte.
Magistrale (Lilac-Centro DCA): “Il trattamento richiede psicoterapia, psicoeducazione nutrizionale e, nei casi più complessi, supporto medico per la gestione delle conseguenze fisiche.”
Milano, novembre 2025 – E’ l’ossessione patologica per il mangiare “puro”, che in Italia, secondo i dati del Ministero della Salute coinvolge 300-400 mila persone, su oltre 3 milioni che soffrono di DCA. L’ortoressia colpisce maggiormente gli uomini (11,3%) che le donne (3,9%) (Donini e coll. 2004). E a livello internazionale, le meta-analisi mostrano tassi medi del 20–30% nei campioni studiati, con giovani adulti e adolescenti come fascia più esposta.
A porre l’attenzione su questa patologia in crescita, ma ancora troppo sottovalutata, è Lilac-Centro DCA, digital health tech startup prima realtà in Italia nata con l’obiettivo di creare un modello innovativo per il trattamento dei disturbi alimentari, in occasione del Movember, il movimento nato con lo scopo di sensibilizzare il pubblico maschile sull’importanza della prevenzione e di sottoporsi a visite ed esami regolari.
“Prendersi cura della propria alimentazione è importante – spiega Giuseppe Magistrale, psicoterapeuta e co-founder di Lilac-Centro DCA – e scegliere cibi freschi può certamente contribuire al benessere. Ma è altrettanto importante che questa attenzione non diventi un sistema rigido di regole. Quando il valore di ciò che mangiamo viene misurato solo in termini di ‘purezza’ o ‘correttezza’, il rischio è che la ricerca di equilibrio lasci spazio a un rapporto ansioso e iper-controllato con il cibo. Ed è proprio in questa trasformazione silenziosa che il confine tra cura e ossessione può diventare sottile.”
Anche se non è ancora ufficialmente inserita nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) l’ortoressia desta sempre più attenzione nella comunità scientifica.
“Vivere una condizione di ortoressia spesso è sintomo di un disagio personale più profondo, legato possibilmente a insicurezze o traumi e spesso con conseguenze pericolose sia dal punto di vista relazionale che fisico – chiarisce Magistrale di Lilac-Cenro DCA – Il trattamento richiede un approccio multidisciplinare: psicoterapia per lavorare su pensieri rigidi e perfezionismo, psicoeducazione nutrizionale per ristabilire un rapporto realistico con il cibo e, nei casi più complessi, supporto medico per la gestione delle conseguenze fisiche.”
“Un percorso psicologico – aggiunge Filippo Perotto, co-founder di Lilac-Centro DCA – può essere di grande aiuto per riconoscere non solo le cause che portano la persona ad assumere tali comportamenti disfunzionali, ma anche a modificarli e ritrovare un rapporto con il proprio corpo e con il cibo più salutare.”
C’è poi un altro aspetto da considerare. Una ricerca (2020 Yılmaz et al.) ha indagato la possibile associazione delle tendenze ortoressiche con sintomi ossessivo-compulsivi, atteggiamenti alimentari ed esercizio fisico, evidenziando come queste tendenze dei partecipanti che svolgevano regolarmente esercizi fisici erano più elevate rispetto a quelle dei soggetti con diagnosi di disturbi ossessivi-compulsivi e degli individui sani che non svolgevano alcun esercizio.
“Per quanto ovviamente siano necessari studi con campioni di grandi dimensioni e diagnosi diverse per determinare il ruolo dell’ortoressia nervosa nei sistemi di diagnosi e classificazione – puntualizza Giuseppe Magistrale – un punto in comune può essere però quello di una certa ricerca della perfezione che unita a una possibile e sottesa bassa autostima può far cadere nel perfezionismo chi sta vivendo nella condizione dell’ortoressia.”
“Senza dimenticare – conclude Filippo Perotto di Lilac-Centro DCA – la pressione sociale e ‘social’ che gli uomini subiscono ormai sempre più frequentemente nel dover dimostrare di avere un fisico ‘fit’. Pressione che porta, inoltre, a una normalizzazione delle diete restrittive fatta di alimenti iperproteici, spesso assunti in grandi quantità – e a discapito degli altri nutrienti – e senza reale utilità e beneficio per l’organismo. Ma spinti, anche, da un marketing aggressivo che negli ultimi anni ha visto crescere il segmento dei cosiddetti prodotti ‘ricchi in proteine’ del 20% per un valore di mercato complessivo che supera i 2 miliardi di euro (dati Osservatorio Immagino GS1 Italy).”