«Consumiamo troppi antibiotici, soprattutto in alcune aree del nostro Paese come nel Sud Italia, è quello che emerge dai dati dell’annuale rapporto sull’uso dei farmaci dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco. Tuttavia, se non analizziamo le ragioni profonde di questo gap e non proponiamo delle soluzioni, rischiamo di banalizzare la questione e di diventare noi stessi parte del problema». Lo afferma Roberto Venesia, segretario Fimmg Piemonte e Responsabile dell’Area Farmaco, in occasione della giornata europea sull’uso consapevole degli antibiotici che apre la settimana mondiale di consapevolezza sull’antimicrobico-resistenza. I dati dicono che nel 2024 gli antibiotici sono stati assunti da 4 italiani su 10.
Ogni giorno in media almeno 17 italiani su mille (DDD/1000 abitanti die) prendono una terapia antibiotica. Ma, avverte Venesia, «una disomogeneità nei dati di consumo, regionali o locali, non è automatico sinonimo di inappropriatezza nelle prescrizioni. Una prescrizione medica è sempre appropriata quando è effettuata all’interno delle indicazioni cliniche e nelle indicazioni d’uso e l’appropriatezza è un dato difficile da calcolare».
Ancor più complesso è individuare le cause profonde della disomogeneità nell’uso degli antibiotici in relazione alle aree geografiche. «Entrano in gioco fattori socioeconomici rilevanti» evidenzia Venesia, che cita i dati emersi dall’ultimo rapporto di NetMedica secondo i quali una parte considerevole delle prescrizioni di antibiotici è legata a piccola chirurgia, soprattutto in ambito odontoiatrico. «In molte regioni del Mezzogiorno, le famiglie non hanno un adeguato accesso alle cure odontoiatriche e quindi si trovano spesso a dover affrontare i problemi dei mancati controlli nel tempo. Quando arrivano all’odontoiatria pubblica è quasi sempre per un’estrazione».
Al dato socioeconomico si aggiunge poi una valutazione tecnica che riguarda l’intero territorio nazionale. «Gli antibiotici dovrebbero essere “spacchettati” e venduti in flaconi contenenti il numero di pillole prescritte dal medico per la specifica terapia. Così si eviterebbe di riempire le case degli italiani di pillole in eccesso che, inevitabilmente, finiscono per indurre alcuni pazienti ad un uso improprio».
Il tema non riguarda solo l’Italia, nel 2019 l’Ue si è posta l’obiettivo di ridurre il consumo di antibiotici del 20% entro il 2030. Nel periodo dal 2019 al 2023, invece, si è registrato un aumento dell’1%. «La resistenza antimicrobica sta rallentando il raggiungimento di questo obiettivo europeo ed è causata proprio dall’eccessivo consumo di antibiotico», precisa Venesia, secondo il quale “non resta molto tempo per invertire l’approccio oggi troppo leggero all’uso di questi farmaci. Purtroppo, le previsioni sono al momento drammatiche per i prossimi anni.
L’antibiotico ha letteralmente rivoluzionato la storia della sanità e proseguendo così rischiamo di perdere questa formidabile scoperta. In particolare, secondo il Responsabile Area Farmaco della Fimmg, «il valore dell’antibiotico è spesso preso un po’ alla leggera nell’opinione pubblica. Dobbiamo fare il possibile per divulgare l’importanza di consumarlo solo nei casi in cui è veramente utile su consiglio del medico, e di non abusarne. Anche perché la maggior parte dei malanni che prendiamo è causata da virus, su cui gli antibiotici non hanno alcun effetto. I batteri sono microrganismi intelligenti: si adattano al farmaco disperso nell’ambiente, evolvono e diventano resistenti molto in fretta», conclude.