PSICOFARMACI E MINORI: COMMENTO DEGLI ESPERTI BAMBINO GESÙ E IRCCS STELLA MARIS

Scriviamo queste riflessioni come coordinatori della Rete che riunisce i primari dei reparti di emergenza psichiatrica per l’età evolutiva (0–18 anni), in un momento in cui i dati sull’uso di psicofarmaci nei minori stanno suscitando un ampio dibattito. Il recente Rapporto OsMed sull’uso dei farmaci in Italia nel 2024 segnala che la prevalenza nell’uso di psicofarmaci sotto i 17 anni è più che raddoppiata rispetto al 2020, passando dallo 0,26% allo 0,57%. Un dato che può facilmente generare allarme, ma che richiede invece una lettura attenta e articolata.

I dati sull’aumento dell’uso di psicofarmaci in età evolutiva non devono essere letti come un segnale di allarme, ma come uno stimolo alla riflessione e alla responsabilità condivisa. Da un lato, serve prudenza, affinché ogni prescrizione sia frutto di un’attenta valutazione e di un monitoraggio continuo; dall’altro, non possiamo ignorare che molti bambini e adolescenti con disturbi psichici in Italia non ricevono ancora un aiuto adeguato.

La prescrizione di psicofarmaci in età evolutiva deve sempre avvenire con grande prudenza e competenza, da parte di specialisti esperti, seguendo alcuni principi fondamentali:

  1. Valutazione globale – La decisione di prescrivere un farmaco deve inserirsi in una comprensione approfondita della situazione del minore, tenendo conto non solo degli aspetti medici, ma anche di quelli psicologici, familiari e sociali e dei relativi interventi su questi aspetti.
  1. Obiettivi chiari e verificabili – I sintomi da trattare devono essere ben definiti, osservabili e monitorabili nel tempo, così da poter valutare se il farmaco stia davvero aiutando.
  1. Monitoraggio costante – Dopo l’inizio della terapia, è essenziale verificarne con regolarità efficacia e tollerabilità. Entro tre mesi deve essere effettuata una valutazione complessiva del rapporto rischi/benefici per decidere se proseguire, modificare o sospendere il trattamento.
  1. Revisione periodica – Poiché i disturbi in età evolutiva possono cambiare con lo sviluppo o grazie ad altri interventi terapeutici, è necessario prevedere momenti in cui, anche in presenza di buoni risultati, si valuti una graduale riduzione o sospensione del farmaco, per verificare se il miglioramento possa mantenersi anche senza terapia.

Va inoltre ricordato che parlare genericamente di “psicofarmaci” può essere fuorviante. Questo termine comprende categorie di farmaci molto diverse tra loro per efficacia e per possibili effetti indesiderati. Gli stimolanti (utilizzati per il disturbo da deficit di attenzione o ADHD), i farmaci serotoninergici (per la depressione o il disturbo ossessivo-compulsivo), gli stabilizzanti dell’umore (per il disturbo bipolare) e i bloccanti dei recettori D2 (usati nelle psicosi, nei gravi disturbi del comportamento nell’autismo o nella disabilità intellettiva) hanno profili d’uso molto differenti. I bloccanti D2, in particolare, richiedono controlli periodici accurati, soprattutto se usati a lungo, poiché presentano un rischio maggiore di effetti collaterali.

Alla luce di ciò, è utile considerare alcuni punti chiave:

  1. Porre l’attenzione sulle percentuali effettive.

Dire che l’uso degli psicofarmaci “è raddoppiato” può sembrare allarmante, ma il dato va contestualizzato: in Italia, la prevalenza è passata dallo 0,26% allo 0,57%. Si tratta di un aumento, certo, ma i livelli restano molto più bassi rispetto ad altri Paesi europei a noi vicini. In Francia le percentuali sono circa tre volte superiori, e in Spagna ancora più alte — per non parlare dei Paesi nord-europei. Pensare che solo l’Italia abbia trovato il “giusto equilibrio” e che tutti gli altri sbaglino sarebbe un errore: come spesso accade, la verità sta nel mezzo.

  1. Non tutti i “bambini” sono uguali.

Parlare genericamente di “psicofarmaci ai bambini” è impreciso. L’aumento riguarda l’intera fascia sotto i 18 anni, ma con un picco tra i 12 e i 17 anni, cioè soprattutto negli adolescenti. È in questa età che emergono le forme più complesse e severe di disagio psichico, che spesso richiedono, accanto alla psicoterapia e al sostegno familiare e sociale, anche un intervento farmacologico mirato, che può favorire gli altri interventi.

  1. Il vero problema è anche chi resta senza cure.

Parlare solo della “prevalenza d’uso” non basta: bisogna chiedersi quante persone avrebbero effettivamente bisogno di un trattamento e non lo ricevono.
Sulla base di stime epidemiologiche nazionali ed internazionali sulla prevalenza dei disturbi psichiatrici in età evolutiva, in Italia solo 1 bambino o adolescente sui 15-20 che presentano disturbi riceve una terapia farmacologica. È la percentuale più bassa tra i Paesi europei a noi più simili. È giusto preoccuparsi per chi assume un farmaco, ma dovremmo preoccuparci altrettanto per coloro (molti di più) che non ricevono un trattamento che potrebbe aiutare i ragazzi e le loro famiglie. Questa consapevolezza apre una riflessione importante, non solo clinica ma anche etica e deontologica, su come la società e i servizi sanitari rispondono ai bisogni di salute mentale dei più giovani.

La vera sfida non è solo limitare l’uso dei farmaci, ma garantire che chi ne ha davvero bisogno possa accedere a cure appropriate, integrate e tempestive. Parlare di salute mentale nei più giovani significa promuovere una cultura dell’ascolto, della competenza e della cura, perché il benessere psicologico dei ragazzi è – e deve restare – una responsabilità di tutti.

I coordinatori della Rete che riunisce i primari dei reparti di emergenza psichiatrica per l’età evolutiva (0–18 anni):

Gabriele Masi, responsabile di Psichiatria e Psicofarmacologia dell’IRCCS Fondazione Stella Maris

Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

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