PESANO EROSIONE RISORSE E SCELTE NORMATIVE
Roma, 4 settembre – “Gli stipendi degli infermieri sono inaccettabilmente magri per colpa della pesante erosione che subiscono da 35 anni a questa parte. Non ci si può meravigliare dunque se stiamo pagando il conto in termini di carenza di personale, ma non possiamo neppure rimanere a guardare di fronte all’impoverimento crescente del nostro Ssn”. Lo affermano il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega, e Girolamo Zanella, consulente economico del Centro studi Nursind, autori di un focus che, numeri alla mano, dimostra proprio come le buste paga degli infermieri abbiano perso terreno nel corso degli ultimi decenni. “Le cifre globali in ballo sono considerevoli – proseguono –: arriviamo fino a 10mila euro in meno per un infermiere neo assunto e a quasi 16mila euro per un professionista con 40 anni di servizio (tabelle 1 e 2)”.
Alla base di questo depauperamento, come si evince dallo studio, però, non c’è solo la penuria di fondi, ma pesano anche precise scelte normative insieme a una determinata cultura sindacale predominante. “Da qui – incalza Bottega – sono discese le principali modifiche nei sistemi d’inquadramento che si sono avvicendati dal ‘90 in poi e che hanno causato una distribuzione a pioggia delle risorse, senza spazio per il merito, oltre che un grave appiattimento verso il basso, con una penalizzazione dei profili più alti e qualificati rispetto ai profili base”.
Dai calcoli del Centro studi Nursind (tabella 3), è evidente come rispetto al valore assoluto attualizzato alle stime di rivalutazione Istat 2024, nel passaggio dal sistema dei livelli a quello delle categorie (con le fasce di progressione interna) prima e delle aree dopo, la differenza stipendiale tra il livello più alto e quello più basso è passata dal 70% (31.12.1990) a circa il 40% tra la Categoria Ds e la categoria A (periodo 1998 – 2018), fino ad arrivare a circa il 26% di gap tra l’Area dei professionisti della salute e dei funzionari e l’Area del personale di supporto (1.1.2023).
In sostanza, considerando un ex livello 6 neoassunto, “tra il 1990 e oggi un infermiere ha perso 1.135 euro come stipendio base e 1.320 alla luce delle altre voci del trattamento fondamentale, per un totale di quasi 2.500 euro (tabella 4). Cifre che aumentano se prendiamo in considerazione, ad esempio, un infermiere con 40 anni di anzianità. In questo caso, a parità di stipendio base, la perdita equivale a più di 8.500 euro (tabella 5)”, spiega Zanella.
Lo studio approfondisce poi nel dettaglio come le riforme che si sono succedute negli anni abbiano inciso sui diversi istituti stipendiali integrativi. “Ancora una volta – sottolinea Bottega – il risultato è penalizzante per gli infermieri”. Tra queste voci, ad esempio, figura il plus orario che negli anni è stato sostituto con il Fondo per la produttività. “Un passaggio per nulla indolore per le tasche dei professionisti: nel caso di un infermiere neoassunto la perdita economica per un’ora di lavoro aggiuntivo a settimana supera i 1500 euro annui di stipendio, per due ore aggiuntive settimanali i 5mila euro. Nel caso invece di un infermiere con 40 anni di servizio queste cifre diventano rispettivamente oltre 2.150 e oltre 6.200 euro annui di perdita (tabella 6)”, chiosa il segretario del Nursind.
Prevale il segno meno anche se si guarda alle indennità che fanno parte del salario accessorio: dal focus emerge con chiarezza come tra i livelli stipendiali del 1990, rivalutati secondo i valori Istat ad oggi, e quelli del Ccnl 2022-2024 ci sia, appunto, una forte penalizzazione di queste voci, a cominciare dall’indennità giornaliera per personale infermieristico operante su triplo turno (si perdono al giorno 4,74 euro) e fino a quella riservata a chi opera nei servizi di malattia infettiva (6,35 euro al giorno).
“Di fronte a questo quadro desolante – tira le somme Bottega – non si può rimanere inerti. È necessario agire e farlo in fretta per poter arrestare la fuga di infermieri verso altre professioni e riaccendere l’interesse dei giovani per il nostro lavoro. È evidente che un simile trend di appiattimento si può invertire ad esempio con il sistema degli incarichi che viene mutuato dal Ccnl della dirigenza e, quindi, facendo decollare l’area dell’elevata qualificazione, ancora purtroppo solo sulla carta. Sarebbe il giusto strumento per dare un riconoscimento al personale con livelli più alti di formazione in termini sia di carriera che economici”. In tal senso, conclude il segretario, “andrebbe definito un fondo contrattuale specifico in cui dovrebbero confluire anche le risorse dei differenziali economici e delle indennità fisse e continuative che fanno capo al fondo del personale laureato”.