150mila violenze l’anno, tra denunce ufficiali e sommerso, solo ai danni degli infermieri, rappresentano un’emergenza sociale senza precedenti.
ROMA 18 LUG 2025 – «Le bodycam nei Pronto Soccorso, iniziativa di recente adottata in alcune aziende sanitarie del Veneto, per noi non rappresentano affatto la soluzione, sono piuttosto solo toppe su una ferita ormai aperta. Siamo stanchi di provvedimenti tampone che non affrontano il problema alla radice. Ogni anno solo gli infermieri subiscono oltre 150mila aggressioni: questo non è un fenomeno isolato, è un vero allarme sociale che fotografa una sanità allo stremo». Lo afferma Marco Ceccarelli, Segretario Nazionale COINA, sindacato delle professioni sanitarie, commentando la sperimentazione avviata in Veneto.
Secondo Ceccarelli, il ricorso alle telecamere rischia di diventare un’illusione di sicurezza.
«Una microcamera non ferma la violenza. Registra l’aggressione, ma non la previene. Chi aggredisce non è razionale: è esasperato dopo ore di attesa, spesso sotto stress o sotto l’effetto di sostanze. Pensare che una bodycam basti a ridurre le aggressioni o a fare addirittura da deterrente, significa non voler affrontare le vere cause del problema. Spiegateci fino a che punto, ad esempio, può essere risolutivo l’uso di pulsante che allerta le forze dell’ordine a violenza drammaticamente avvenuta».
Il COINA denuncia una deriva pericolosa: «Le aggressioni crescono a dismisura perché abbiamo Pronto Soccorso trasformati in imbuto per tutto, sovraffollati, con personale ridotto all’osso. La gente aspetta ore, giorni per visite e interventi, e si sfoga su chi è in prima linea. Non è una giustificazione, ma è la triste realtà. Se non rilanciamo la sanità territoriale, continueremo a tappare falle senza mai chiudere la voragine».
Serve un piano straordinario, non “gadget tecnologici” che rappresentano fumo negli occhi. Chi si prende cura di chi gestisce le cure?
«Solo potenziando la medicina di prossimità, i servizi domiciliari e la rete territoriale, possiamo alleggerire i Pronto Soccorso e ridurre l’esasperazione dei cittadini. E per farlo servono piani di assunzione capillari, contratti dignitosi e investimenti seri: non spot elettorali. Dobbiamo riportare professionisti nei distretti, negli ambulatori, nei consultori. Tutto questo non è più rinviabile».
Il sindacato sottolinea anche il delicato tema sicurezza:
«Rafforzare la sicurezza è indispensabile, ma alla fine, sia chiaro, riempire gli ospedali di agenti non è la soluzione definitiva. Troppi professionisti, soprattutto nei turni notturni, sono lasciati soli, senza supporto organizzativo né strumenti per gestire le emergenze. La sicurezza è naturalmente indispensabile alla luce dell’emergenza che stiamo vivendo, ma la serenità dei professionisti sanitari si costruisce anche con organizzazione e presidi umani».
Appello alle istituzioni
Ceccarelli conclude con un appello al Governo e alle Regioni:
«Smettiamo di inseguire le emergenze con soluzioni d’immagine. Abbiamo bisogno di un piano strutturale per il territorio, di assunzioni e di una revisione del sistema dell’emergenza-urgenza. Non scorciatoie, ma una strategia per riportare la sanità pubblica a livelli di sicurezza e qualità. Il tempo delle toppe è finito».