Saccomanno-Onesti-Vivaldi: «Siamo di fronte a una vera rivoluzione. Ma senza investire sui professionisti, nessun algoritmo potrà mai garantire vera qualità nella cura».
La recente istituzione di un Osservatorio nazionale dedicato all’intelligenza artificiale in sanità, volto a monitorare e promuovere le esperienze concrete di digitalizzazione nei sistemi ospedalieri, conferma quanto il tema sia ormai centrale nelle politiche pubbliche.
Ma per AISI – Associazione Imprese Sanitarie Indipendenti, servono scelte strutturali, non simboliche, e soprattutto una visione che tenga insieme innovazione e umanizzazione delle cure. La trasformazione digitale è in atto e coinvolge il futuro stesso della sanità pubblica e privata.
L’intelligenza artificiale, il machine learning, la medicina predittiva e la sanità connessa stanno già riscrivendo i paradigmi della diagnosi e dell’assistenza. Tuttavia, senza un investimento parallelo nella valorizzazione concreta dei professionisti sanitari, ogni algoritmo rischia di rimanere sterile o addirittura disumanizzante.
Tecnologie intelligenti, ma solo se guidate dalla competenza umana
Secondo le principali ricerche internazionali, l’IA applicata alla sanità è in grado di produrre benefici concreti e quantificabili:
+28% nello sviluppo di nuovi farmaci e dispositivi;
+27% nell’efficienza delle strutture sanitarie e nella gestione delle risorse;
+27% nella trasformazione operativa dei processi clinici;
+19% nel miglioramento dei percorsi di presa in carico del paziente.
«La rivoluzione dell’intelligenza artificiale in sanità è già cominciata – spiega Karin Saccomanno, presidente di AISI –. Ma perché generi vero valore, deve essere fondata su cultura, etica e partecipazione attiva dei professionisti. Non possiamo limitarci ad adottare tecnologie “chiavi in mano”: serve una strategia italiana, trasparente e condivisa, costruita intorno a standard interoperabili e alla co-progettazione con chi lavora sul campo».
Serve una filiera italiana dell’innovazione digitale
La sanità italiana dispone di talenti, centri di ricerca, startup e imprese pronte a contribuire allo sviluppo di soluzioni intelligenti. Ma oggi, avverte AISI, manca ancora una filiera strutturata dell’innovazione sanitaria, in grado di unire visione industriale, sostenibilità tecnologica e impatto clinico reale.
«Il tempo della subalternità è finito – afferma Giovanni Onesti, direttore generale di AISI –. Le imprese sanitarie indipendenti, ad esempio, devono essere riconosciute come partner attivi della trasformazione digitale, non solo utenti o appaltatori. Chiediamo di partecipare ai tavoli strategici del PNRR, a partire da progetti come il Fascicolo Sanitario Elettronico e la telemedicina. L’innovazione non può essere imposta: va sviluppata a partire dai bisogni reali delle strutture e dei territori».
Innovazione e assistenza: due mondi da tenere insieme
AISI richiama infine un principio non negoziabile: la cura è relazione, e la medicina è ancora un’arte, non solo una scienza computazionale. La qualità di una diagnosi non dipende solo dalla quantità di dati, ma dalla capacità di interpretazione, ascolto, empatia. Per questo, i professionisti sanitari devono essere valorizzati in ogni riforma digitale.
«Non esiste intelligenza artificiale senza intelligenza umana – sottolinea Fabio Vivaldi, segretario generale AISI –. L’algoritmo può supportare, ma non può sostituire la sensibilità e il giudizio clinico. Perciò è necessario aprire una nuova stagione di riconoscimento delle professioni sanitarie, sul piano contrattuale, formativo e organizzativo. La sanità non ha bisogno solo di tecnologia: ha bisogno di persone qualificate, stabili, motivate. L’innovazione si costruisce così, e non altrove».