Anche a Modena in uso il modello terapeutico sviluppato presso il Maudsley Hospital di Londra e basato sull’evidenza dell’importante ruolo giocato dalla famiglia: fondamentale il coinvolgimento diretto di genitori, fratelli e caregiver nel processo terapeutico, con il sostegno di équipe multidisciplinari specializzate.
Il 2 giugno non è solo la Festa della Repubblica: è anche il World Eating Disorders Action Day, una data simbolica riconosciuta a livello internazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica sui Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), oggi sempre più spesso definiti come Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA). Una terminologia che riflette un approccio più ampio e integrato a patologie complesse che colpiscono mente e corpo, e che ancora oggi risultano spesso invisibili o sottovalutate.
L’iniziativa, promossa da Società Scientifiche e Associazioni di familiari, rappresenta un’occasione fondamentale per richiamare l’attenzione su malattie che coinvolgono milioni di persone nel mondo. Il focus dell’edizione 2025 è incentrato sul ruolo delle famiglie: non come causa, ma come risorsa preziosa nel percorso di cura, anche sul territorio modenese.
“Per molto tempo la responsabilità dei disturbi alimentari è stata attribuita quasi esclusivamente alla famiglia, in particolare ai genitori. Gli studi più recenti dimostrano invece che i DNA sono disturbi multifattoriali, originati da un intreccio complesso di fattori culturali, biologici, psicologici e familiari” dichiarano Roberta Covezzi, Responsabile Programma DCA AUSL di Modena ed Elisa Pellegrini, Referente ricovero ospedaliero DCA AOU Modena. “Una metafora efficace è quella della vasca con i pesci rossi: se uno dei pesci si ammala, intervenire solo su di lui non basta. Bisogna prendersi cura dell’acqua e della vasca stessa. Così, nel trattamento dei DNA, non è sufficiente concentrarsi sulla persona malata: occorre agire sull’intero sistema che la circonda”.
Le linee guida del Ministero della Salute (2017) e del NICE, National Institute for Health and Care Excellence (2017), infatti, raccomandano il coinvolgimento attivo delle famiglie nel percorso di cura, riconoscendole come risorsa fondamentale. In quest’ottica si inserisce il modello terapeutico New Maudsley Model, sviluppato presso il Maudsley Hospital di Londra e adottato all’interno del percorso diagnostico-terapeutico condiviso (PDTA-DCA) dell’Azienda USL di Modena e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena.
Questo approccio prevede il coinvolgimento diretto di genitori, fratelli e caregiver nel processo terapeutico, con il sostegno di équipe multidisciplinari specializzate. L’obiettivo è rafforzare le competenze familiari, sostenere l’alimentazione del paziente, gestire i momenti critici e migliorare la qualità delle relazioni, riducendo colpa, isolamento e senso di impotenza.
“Il New Maudsley Model ha dimostrato di essere particolarmente efficace nei casi precoci – dichiarano le dottoresse – favorendo un recupero più stabile e duraturo, e prevenendo le ricadute. Famiglie e terapeuti, insieme, possono costruire uno spazio sicuro in cui la guarigione diventa possibile. Lo abbiamo condiviso anche nel nostro primo incontro del gruppo di lavoro interaziendale: dobbiamo ascoltare le persone che hanno questo problema prima di metterci al lavoro, per dare risposte adeguate, per vedere con i loro occhi, per metterci al loro servizio”.